giovedì 18 ottobre 2007

Un senso (F.Giongo, estate 1998)

Aveva un buon lavoro in banca.
Era di bell'aspetto, la gente gli voleva bene, lo trovavano tutti simpatico e amabile.
Un giorno una collega lo invitò a consumare il pranzo in sua compagnia.
Accettò volentieri. Lei era la più bella delle impiegate della sua filiale. Regalava la sua bellezza rendendo la giornata migliore ai clienti che avevano la fortuna di capitare al suo sportello.
Inutile dire che era sempre il suo sportello ad avere la fila più lunga.
E aveva scelto lui per consumare in compagnia questo pranzo impiegatizio.
Lui accettò con malcelato entusiasmo.
Seduti al tavolo, intrattenendosi piacevolmente, assaggiarono l'insalata mista che avevano ordinato. Lei gradì molto. Lui non riconobbe alcun sapore pur vedendo rucola, valeriana, tonno, fagioli messicani, cipolla, piccoli tranci di petto di pollo, cetrioli finemente tagliati, peperoncini piccanti sottaceto.
Si stupì di non avvertire alcun gusto.
Però mangiò ugualmente.
Mentre pranzavano, Lei, entrando in un ambito di intimità che non le era del tutto congeniale, sbottonò un po la camicetta della sua anima e gli disse, in preda ad un moto di disinibizione, che tra tutti i colleghi lui era l'unico che riusciva a scatenare in lei, e Dio sa se se ne vergognava, dei pensieri ai confini dell'osceno.
Sebbene lui vedesse le labbra di lei muoversi mentre mangiava cose di cui non avvertiva il sapore, si rese conto di non aver inteso nemmeno una parola di ciò che lei aveva appena detto.
Non ci pensò più di tanto.
Lui amava annusare, prima di berlo, il caffè appena versato.
Chiamò il cameriere immediatamente, lamentandosi dell'acqua nera bollente e inodore che gli era stata servita al posto del profumato infuso di caffeina.
Lei non diede peso alla questione del caffè e fece di tutto per accelerare il loro passo di ritorno alla filiale.
Sebbene mancassero almeno quaranta minuti alla fine della loro pausa pranzo.
Lo trascinò, non senza destare facili pettegolezzi, nel bagno delle signore.
Una volta entrati entrambi, assicurata con due giri di chiave la serratura, si levò la Lacoste che indossava, il reggiseno che stava sotto, il resto del pudore che ancora aveva e prese la mano destra di lui e la posò con forza sul suo seno.
Subito in lei gli ormoni, già peraltro scatenati da prima, considerato che mai in un altro momento o in un'altra vita si sarebbe comportata in quel modo, si dimenarono in una danza ribelle.
Non poteva che pensare al momento imminente in cui lui sarebbe stato dentro di lei. Non poteva pensare ad altro. Lo desiderava troppo.
Lui disse che doveva tornare subito alla sua scrivania, che aveva da sbrigare del lavoro urgente prima che gli sportelli riaprissero al pubblico.
Lei rimase lì, inebetita, nuda dalla gonna in su, bagnata dalla gonna in giù, senza capire bene, vista anche la tempesta ormonale in atto, che cosa era successo, cosa stava succedendo, cos'altro sarebbe successo in seguito.
Così, appena rivestita, avendo a fatica rinunciato all'idea di soddisfarsi da sola, troppo umiliante aveva pensato tra se e se, trovò più stuzzicante mettere su un foglio di carta le sensazioni che aveva provato e che in quello stesso momento stava provando.
E lo fece.
Il giorno dopo lui trovò un manoscritto in mezzo alle pratiche da sbrigare. Lo lesse con cura.
Lo rilesse sbigottito.
E dopo pochi attimi si innamorò.

Nella sua vita non smise mai più di leggere.

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