Quando si parla con le persone, singolarmente o in piccoli gruppi, è difficile non trovare accordo su una grande quantità di temi di attualità. Ho modo, anche per il lavoro che svolgo, di entrare in contatto con una discreta quantità di persone e, fatta eccezione per quelle poche che per profondo disinteresse o per pigrizia mentale non sentono la necessità di costruire per se stessi una capacità di giudizio che vada oltre l'aspetto di superficie delle cose, trovo spesso nelle persone con cui parlo una certa affinità quantomeno nella ricerca di comprendere le cose di cui si parla,se non addirittura nella capacità di individuare soluzioni ai problemi.
Capita anche di incontrare e confrontarsi con persone le cui idee manifestano in modo allarmante la scarsità del livello di informazione a cui tutti possiamo accedere. I giudizi risultano quindi costruiti molto spesso su basi distorte e per questo motivo si rivelano poi fuori luogo. E a questo proposito si potrebbero scrivere parole su parole a testimonianza dell'inquinamento che contamina le informazioni che ci vengono messe a disposizione.
Ho ancora la sensazione che però, nei discorsi affrontati senza ardore e con la serenità del dialogo, nelle persone domini ancora prevalentemente un istinto basato sul buon senso.
Il buon senso sembra venir meno quando al singolo si sostituisce il gruppo, al gruppo la massa.
Quanto più si allarga l'insieme all'interno del quale il confronto si svolge, tanto più alle considerazioni del singolo, basate su buon senso e capacità individuale di assumere informazioni verificate sull'oggetto della discussione, si sostituiscono visioni generaliste indotte da altri soggetti che si autodefiniscono leader.
E si va così ad assottigliare sempre più la capacità di esprimere idee proprie figlie di propri ragionamenti.
Il più delle volte la serenità del dialogo lascia spazio alla litigiosità della disputa e il muro che si crea tra le diverse correnti di pensiero si erge sempre più alto.
Venendo meno la serenità viene meno anche la capacità di mantenere il tono del confronto e molto spesso la disputa si trasforma in lite. E la qualità dei risultati ne esce ovviamente massacrata.
In molti casi poi la sensazione di nulla potere contro gli argomenti portati con prepotenza dai leader, in virtù anche di una autorevolezza di cui non si conosce magari nemmeno l'origine, induce ad abbandonare la disputa per sfinimento. O più semplicemente perchè nel bilancio delle attività da svolgere ci si accorge che si stanno distraendo troppe risorse che dovrebbero essere invece impiegate nel disbrigo di altre incombenze.
Ed è così che si assiste alla triste chiusa delle discussioni con frasi del tipo "ma tanto le cose non cambieranno mai" o "ma noi che non contiamo nulla cosa vuoi che otteniamo a dire la nostra" o ancora "da che mondo è mondo son sempre gli stessi a decidere".
E per il singolo il risultato di una mezzora spesa impegnando la parte pensante del cervello a creare idee e a confrontarle con quelle altrui si risolve con una grande fame di evasione, di distrazione, di tranquillizzante normalità.
Credo che sia proprio su questo appetito che si regge il delicato equilibrio di coloro che decidono le nostre vite.
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