Lo spunto me lo da una trasmissione su radio 24, di sabato mattina. Tema: adolescenza e stupri. Una psicologa, illuminata dico io, dice che no, non bisogna cadere nel tranello della paura. Che non è vero che le cose stanno come vogliono farci credere. Che gli stupri non sono in rapida escalation come ci dicono.
Io questo già lo so. Perchè ho fatto qualche ricerca. Hei, non sto dicendo che gli stupri di cui si parla in cronaca sono inventati. Tutt'altro. E aggiungo che si tratta di uno dei reati forse più odiosi che mente perversa possa arrivare a concepire. Ma qui il problema è un altro. A che cosa serve focalizzare l'attenzione delle persone su alcune notizie e non su altre. Perchè certi temi vengono amplificati a dismisura e altri sottaciuti.
Il collegamento è immediato. E da tempo che rifletto su questi temi. Creare allarme sociale crea le condizioni per un maggior controllo sulle persone. Non lo dico certo io. Il clima di terrore facilita il mantenimento dello status quo. La logica dell'emergenza autorizza l'esercizio di misure cautelari d'emergenza, appunto. E il risultato di tutto questo, mi si permetta il salto nel vuoto dalla pratica alla teoria in senso ampio, è che si creano le condizioni affinché i cittadini, sempre più impauriti dal buio e dai fantasmi, si chiudano nelle loro case a doppia mandata. E se sei chiuso in casa e scarti ogni ipotesi di uscita nel mondo reale giustificato dalla paura e dai pericoli che cosa fai? Accendi la scatola. E la scatola ti dice che la fuori è sempre più terra di nessuno, in pieno potere dei mostri delinquenti che la popolano. E allora ben vengano le ronde. Cittadini armati di telefonino che passano le loro nottate a far da deterrente ai crimini, a scoprire e ad assicurare alla giustizia criminali di ogni risma. E ti senti un pochino più sicuro. Chiuso dentro tu, fuori all'aperto loro, banditi e guardie. E dai un altro giro alla serratura che è meglio.
Questo meccanismo deve essere interrotto.
Perchè è destinato ad inaridirci completamente.
E come si interrompe, mi si chiederà?
Riprendendo il possesso, non il potere, delle nostre città.
Qui la cultura può giocare un ruolo fondamentale. E non si pensi con paura alla parola "cultura". Non si pensi che è cosa per pochi eletti. Cultura deve essere quasiasi cosa, qualsiasi motivo per cui ci venga voglia di battere la paura, metterci addosso un cappotto se fa freddo, bermuda e infradito se fa caldo, spegnere la scatola e uscire.
Per ascoltare un concerto, per vedere un ballerino danzare, per mangiare un gelato, per uno spettacolo di artisti di strada, per il monologo di un attore sconosciuto, per una mostra di quadri, per le bancarelle di un mercatino, per il comizio di qualcuno che ha qualcosa da dire.
Per una birra con degli sconosciuti, per un panino con la salamella in una sagra di un paese dove non sei mai stato, per la messa in una chiesetta che non avevi mai visto, per la raccolta di firme per piantar alberi dove c'era una discarica abusiva.
Per un concerto di jazz, per i bonghi di un gruppetto di ragazzi che si fanno una canna, per un festival rock, per un revival degli anni settanta.
Per una festa in discoteca, per un aperitivo al tramonto di un giorno di primavera.
Per quattro tiri a un pallone nella piazza della chiesa, per una partita a scopa con gli anziani nella corte di un circolino di periferia.
E per poterne discutere, per parlare con gli altri, per dire "io sono qui, sono in giro e non ho paura".
E se i cittadini ricominciassero ad essere cittadini e non arredamento delle loro case, le strade sarebbero piene di gente. E quando le prede sono tante, i predatori hanno vita difficile. Il sistema si autoregola.
Bisogna dismettere la paura. Bisogna reinstallare la capacità di comunicare. Senza distinguerci per forza in gruppi per casta, ceto, appartenenza politica, religione, razza o altro. Accomunati solo dalla voglia di non essere carte di credito con le gambe, numeri da acquisto, soggetti di marketing. Abbiamo bisogno di parlare. Abbiamo bisogno di ascoltare e ribattere. Abbiamo bisogno di risorgere.
Ci siamo assuefatti ad un sistema di comunicazione a senso unico. La scatola dice, noi ascoltiamo, più spesso noi sentiamo e basta. I sensi unici non sono per sempre, ma qualcuno ha interesse che noi lo crediamo.
Mi viene in mente una pubblicità che esemplifica ciò che vogliono che noi si diventi, o forse ciò che già siamo. E' la pubblicità che mostra un giovane uomo che dice più o meno "voglio andare dove la crisi non c'è!", inforca la sua moto e va a casa sua, sul divano, di fronte a un megatelevisore LCD che però gli è costato un sacco di soldi in meno grazie all'azienda pubblicizzata. Ecco. Che gioia...
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